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Se la vita che salvi è la tua

Estratti e pensieri da Se la vita che salvi è la tu di Fabio Geda

La sua risata riempie il cortile. Ti piace Kandinskij? Tu credi in Dio?
Scusa?
Ti ho chiesto se credi in Dio.
Ci credevo.
E adesso?
Andrea strofina le mani sui pantaloni appartenuti a un uomo che in passato ha amato questa donna—è questo quello che pensa.
Credo nella ricerca, dice. Ossia?
Ossia, non credo sia importante sapere se Dio esiste o no, perché non credo conti la risposta, ma solo la domanda. Ciò che dobbiamo chiederci è se vale la pena vivere la nostra vita in tensione verso Dio, persino partendo dal presupposto che non esista, che sia solo la proiezione di un nostro bisogno. Credo in Dio? No. Ritengo necessario cercarlo? Sí. Ecco cosa penso.
Cacchio.
Che c’è?
Risposta per nulla compiaciuta.
Ti ho stupita?
Mi hai dato da pensare.
Già.
I sono stata animista per un certo periodo, dice Ary.
Il dio delle piante, il dio delle cose.
Il dio del mare, delle nuvole, del seme di sesamo. Quello che vuoi
Non lo sei piú?
A volte. Hai avuto un’educazione religiosa?
Sì.
Ortodossa?
No, non ortodossa. Sincera. Del tipo che con i miei genitori trascorrevo spesso il fine settimana in un monastero, in montagna.
Be’, allora direi qualcosa di piú che sincera.
No, non credere. Per esempio, ricordo che in foresteria, accanto al letto, c’era scritto che come prima cosa, arrivati al monastero, dovevamo riposare. Di non preoccuparci della liturgia delle ore, di non scapicollarci al mattutino.
Di far riposare il corpo. Mi piace pensare alla preghiera quando, attraverso la preghiera, ci si prende cura del corpo. Preferisco l’immanenza alla trascendenza. Se Dio c’è è dentro di me, non credi? Dentro di me e dentro di te.
Qui vicino c’è una chiesa presbiteriana. Quando vedo la gente entrarci, a volte, solo a volte, li invidio. Non ho mai portato Benjamin e Allison a una funzione. Di nessun tipo. Ma parliamo spesso di cose che, secondo me, sono come se stessimo parlando di Dio.

p. 99


Si sente in colpa? chide Walter.
Credo di sí.
Si sente in cola o si vergogna?
Si sente… Oh, ma che differenza fa, Walter?
Walter si gratta la guancia. Mia madre faceva la maestra, sa? Prima di annegare. Le ho mai detto che mia madre è annegata?
Sí.
Ecco, mia madre aveva questa riserva di saggezza, frasi a effetto che usava con i suoi alunni. E con me. E tra le varie c’era il discorso sul perdono. Walter esplode in una risata che si risolve in un attacco di tosse, cerca il fazzoletto in tasca, lo porta alla bocca. Mi scusi, dice. Il fatto è che il discorso sul perdono era il suo preferito. Credo si divertisse più lei a farlo di quanto non le interessasse farci capire cosa diceva. Mail fatto, in ogni caso, è che lei dice vale cose in questo modo trasparente, che era impossibile poi non capire dove volesse andare a parare, non so se mi spiego. E il discorso sul perdono partiva proprio dalla differenza tra vergogna e senso di colpa, perché la vergogna, signore, la vergogna è come dire io sono sbagliato mentre il senso di colpa è come dire ho fatto una cosa sbagliata, ecco qual era il succo del discorso.
Andrea annuisce.
La vergogna è una pozza di sabbie mobili, ti muovi e t! disperi e non fai altro che affondare. Conosco uno che si è ucciso, per la vergogna. Glielo giuro, signore. Si è sparato con un fucile davanti ai figli, roba da non credere.
E se solo avesse pensato che non era vergogna quella che provava, ma senso di colpa, sarebbe bastato dire: ho fatto una cosa sbagliata. Walter si sistema sulla sedia e fa una smorfia, come se la gamba gli facesse male. Tutti faccia- mo cose sbagliate, dice. Ma noi non siamo l’errore. È questo ciò che diceva mia madre, sa? Noi non siamo l’errore, siamo solo quelli che l’hanno commesso. E per lavare via una colpa basta pentirsi, sinceramente. Tace, poi riprende. Dovrebbe dirlo a quell’uomo di cui stiamo parlando.
Dovrebbe farglielo sapere, se è un suo amico.
Lo farò.

p. 120-121

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