Tommi Space

Non sono abbastanza

Sono agitato.

Fremo (letteralmente), esasperato dall’opprimente mole di frammenti da cui vengo colpito e non riesco a catturarli completamente. L’energia positiva che mi pervade, carica di entusiasmo, vorrebbe abbracciare l’incommensurabile quantità di conoscenza che incontra in ogni momento e si sforza per estendersi e racchuiderla. Esagerando, inevitabilmente esplode in una miriade di schegge e proiettili.

Così, nel tentativo di assorbire tutto —di cullare nella mia mente pensieri diversi, intensi e complicati, ma estremamente importanti— rischio di perdere anche il poco che prima già avevo. In queste esplosioni non smarrisco irrimediabilmente solo ciò che cercavo di acquisire, ma anche parti di me. Provando a capire —o almeno conoscere— una piccola parte (che è già comunque troppo) di quello che c’è intorno, arrivo a non sapere più nemmeno chi sono.

La crescente e insormontabile complessità dell’affascinante mondo che vorrei scoprire mi si ritorce contro, con le sue disarmanti contraddizioni che mi tormentano a tal punto da ostacolare il disperato tentativo di trovare le parole giuste per raccontare almeno la mia difficoltà nell’esprimere lo stesso problema (e alla fine, se si capisce quello che ho scritto in questo paragrafo, ci sono riuscito (ma probabilmente no)).

Il mondo è tanto, io non sono abbastanza.

Vorrei { segue solipsistico flusso di coscienza. Se voleste saltarlo, capirei. }

poter studiare senza interrompermi ogni istante perché un’idea di David Hume mi ricorda quella utilizzata da Pippo Civati nell’ultimo post sul suo blog, o perché non riesco a trattenermi dal confrontare le dinamiche colonialiste che hanno reso il Regno Unito così potente con il fenomeno opposto dell’uscita dall’Unione Europea, che lo sta trasicnando verso il fondo. E pensando a Brexit non riesco a non pensare al grande immenso subdolo problema di cui è sintomo: la manipolazione politica attraverso i Social Media. Ragionando sui Social Media, inevitabilmente finisco per leggere qualche articolo sui casini dei colossi monopolistici del web; dopo averlo terminato (sempre che non mi sia interrotto a metà per una suggestione che non potevo permettermi di tenere a mente fino a fine lettura), mi catapulto a cercare delle alternative etiche ai venefici software proprietari che popolano silenziosamente la nostra quotidianità. Allora automaticamente mi perdo nella ricerca e scoperta su GitHub di favolosi e geniali tool per avere una più libera e aperta esperienza online. Però porca puzzola dando uno sguardo all’orologio mi rendo conto che sono trascorse decine di decine di minuti fondamentali che, essenzialmente, sono stati rubati allo studio. È quasi ora di pranzo: mangio sconsolatamente ripromettendomi che nel pomeriggio sarò più “produttivo”. Dopo aver lavato i piatti penso che prima di studiare sarebbe giusto leggere qualcosa su questa famigerata, tanto celebrata e onnipresente “produttività”. Molto produttivamente, finisco le mie ricerche dopo almeno un’ora di girovagare e letture online, finendo per chiedermi se accidenti non sia il caso di salvare questi articoli per dopo. Salvo uno o due o tre o dieci articoli interessanti su Pocket; mi chiedo però: è questo il metodo più efficace per organizzare la conoscenza? Non so. Altri innumerevoli giri di lancette dopo, sto sistemando un problema nel codice di questo sito e mannaggia però ci sono un sacco di altre cose che dovrei sistemare, ma è tardi! Un ultimo, disperato tentativo può essere una mezz’ora di corsa catartica sul lungomare. Le mie cuffiette sono rotte, vado senza musica: ascolto il mio respiro, mi concentro sull’aria che entra ed esce dai miei polmoni, il movimento del mio petto e il ritmo soave delle mie falcate. Forse sono più tranquillo. Doccia. Stasera ho una riunione dell’associazione belin non è possibile che in una settimana non sia riuscito a preparare nulla porca paletta non ci posso credere. Scrivo l’ordine del giorno in dieci minuti. Videochiamata. Sono troppo distrutto non ce la faccio a leggere. Almeno una poesia di Gozzano, dai. E poi buio, che si sposa con l’incapacità di dormire dovuta al pensare come domani potrebbe essere una giornata migliore e a come fare tutte le cose bene. Mi sveglio e faccio l’unica cosa che ho imparato in cinque anni di educazione fisica, fiducioso che sarà una giornata migliore.

Invece, rimango intrappolato in questo loop (lo so lo so mi lamento delle distrazioni e poi riempio di link. Se ne volete cliccare solo uno, è sicuramente questo[1]) infernale che mi fa innamorare della bellezza e delle scoperte e di quante cose pazzesche favolose sbalorditive esistono sul nostro pianeta e nella mia vita, ma tutto questo mi si ritorce contro e diventa come una freccia ricercante dalla quale non riesco a fuggire.

A tutto questo casino, si aggiunge il fatto che ogni cosa è collegata e ci sono relazioni pazzesche fra le più differenti sfere di interessa e di significato come fra le più distanti epoche storiche. La possibilità di imparare si trasforma in una immensa matassa aggrovigliata che è impossibile sbrogliare, e per provare a farlo ci vuole tempo e dedizione, che in questo stato di tremenda agitazione certamente non riesco a trovare.

Sono troppo piccolo, sono spaventato dall’infinità di conoscenza ed esperienze che abbiamo la fortuna di poter acquisire e vivere, ma, consapevoli che non potremo mai conoscere e scoprire tutto, dobbiamo scegliere. Cosa succede però se ciò che non scegliamo, o ancora peggio scegliamo di non scegliere, fosse proprio ciò che potrebbe cambiarci la vita? Com’è possibile che per natura potremmo ignorare per tutta la nostra esistenza qualcuno o qualcosa che sarebbe in grado di sconvolgerla? Se io prima di morire non sarò andato nella base Concordia, non potrò mai sapere come avrei vissuto se ci fossi stato.

il determinismol’occasionalismoil mio amato Leibnitz sanno salvarmi, in questo caso.

Mi trovo allora a camminare avanti e indietro per la casa con il mio taccuino in mano scrivendo febbrilmente di meta-conoscenza: la conoscenza della conoscenza. Succube di questa irrequietezza non riesco a liberarmi dell’ansia di infinito e perdo tempo a preoccuparmi di stare perdendo tempo. Come dice Edipo:

che la notte la perdo
a pensar che di giorno
sarei molto più bello
se sognassi di più

e poi?

E poi non so che cavolo fare, e non ho una soluzione.

Nevertheless, per usare una similitudine poco bella in questo periodo: come per sconfiggere un virus serve un vaccino, ma per curarlo le medicine possono aiutare, così io, per quietare il mio tormento per cui ora non conosco cura, ho individuato delle pillole che aiutano a curarlo:

  • la dedizione
  • la cura
  • il monotasking
  • la dolcezza
  • la sincerità
  • le parole giuste
  • gli idoli
  • le persone belle (tutti i miei amici, unici e insostituibili)
  • la più completa e rigorosa assenza di caffeina
  • correre senza musica
  • scrivere
  • scrivere
  • scrivere
  • scrivere flussi di coscienza e pubblicare quello che si ha scritto anche se è pura follia
  • ascoltare la discografia completa dei Pink Floyd
  • provare, almeno provare, a praticare Mindfulness
  • leggere poesie
  • leggere le parti più indie della Bibbia (principalmente le Lettere e gli Atti, non l’Antico Testamento)
  • provare a dormire

Ora, però, che faccio?

Mi dedico queste parole:


Mi spiace mio caro intelletto
vattene a letto e dormici su
che forse il tuo mondo perfetto
non è perfetto come dici tu

Scusa mio caro cervello,
sei come un fratello,
ma adesso anche tu
levami questo fardello
che voglio provare a volare lassù

milioni di libri non servono a niente
se servono solo a nutrire una mente che mente
scusa mia cara ragione,
passerò per coglione,
ma è meglio così
forse in virtù del tuo nome
vuoi avere ragione
ma stammi a sentir…

Assiomi e teoremi non valgono a niente
se l’occhio non vede e il cuore non sente



  1. Un aneddoto importante, mi avreste ucciso lo avessi raccontato in una parentesi: una uggiosa e un po’ triste mattina della scorsa settimana a Verona ho parlato con la mia favolosa insuperabile amica Valeria di tutte le stesse cose che ho appena scritto qui e lei mi racconta di questo pezzo. Porca paletta. Telepatia. ↩︎

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