Premetto che segue un articolo estremamente personale, oserei quasi dire egoista, in cui parlo molto di me stesso ed espongo alcune riflessioni profonde che riguardano me.
Forse nemmeno è un articolo, è più il flusso di pensieri che sta tormentando me e condizionando la mia stessa esistenza {posso sembrare esagerato e temo di esserlo effettivamente, ma non sto enfatizzando: è così} non solo durante questo viaggio in bus interminabile, con meraviglioso bianco panorama bavarese, ascoltando musica africana (Expensive Shit di Fela Kuti in questo momento), ma da qualche mese a questa parte.

È un periodo in cui non so più cosa voglio e, forse, non dovrei chiedermelo per peggiorare le cose, quando ho un’idea -seppur vaga- di ciò a cui aspiro mi chiedo perché lo voglio e non so rispondere. Il problema a monte è l’insoddisfazione che innegabilmente mi perseguita nonostante abbia infinite opportunità e fortune per le quali non dovrei mai smettere di ringraziare Dio ed i miei genitori, figure paterne peraltro non così distinte come abbiamo l’impressione siano, ma questo è un altro discorso.
Sono insoddisfatto perché potrei forse fare di più, ma soprattutto dovrei fare meglio. Cerco di essere più chiaro: non avendo idea di ciò a cui voglio in particolare dedicare tutta la mia vita, tendo a buttarmi e farmi coinvolgere in più progetti, pazzie ed avventure possibili; ne deriva una vita piena, intensa, emozionante - non lo nego - ma vuota. È la vita da fashion blogger: fa cose, appare, guadagna - nel suo caso soldi - ma non si ferma a cercare riflessioni profonde, ad immergersi nelle profondità della propria psiche per comprendere totalmente il progetto di vita che Dio ha pensato per lui.
~ È qui necessario aprire una parentesi sul fatto che a mio parere è innegabile, a pensarla da cristiani o alla Spinoza, che sin dal principio c’è un posto, uno scopo, un sogno per ciascuno, necessariamente. ~
Derivano di conseguenza pensieri più strettamente connessi alla società attuale e più soggettivi: oltre alla tristezza indotta da quanto scritto fin ora, la domanda più concreta che mi pongo è quale sia la mia identità pubblica e sui social. Persino i miei più stretti amici possono riconoscere che, almeno per il 30%, non sono come loro credono io sia. Alcuni mi credono un personaggio, (in questo esatto momento, dopo Fela Kuti, è partita Still Fenomeno) di Coez; coincidenze?) uno che in futuro farà roba grandiosa in campo scientifico o più semplicemente un Rappresentante d’Istituto in gamba.
FALSO.
L’unico giudizio esatto che potreste avere di me è che sono pazzo. Ergo, se non sapete chi sono, se non so chi sono {postulando che non sapere cosa si vuole può essere inteso come non sapere chi si è}, cosa devo fare? Pasqua è vicina e non posso negare che le riflessioni e le messe della Quaresima aiutino, tuttavia continuo a non capire.
Ho scritto identità pubblica e social: sono due cose collegate? Nefas scire, dice Orazio. In ogni caso, se l’unico obiettivo a cui mi sento davvero di puntare è quello di compiere una qualche rivoluzione o fare la svolta, devo capire dove cavolo andranno a finire i social. Ci sono tutti, ci sono miliardi di visualizzazioni, di condivisioni, di profili, di pagine, ma soprattutto di video. Poiché quest’ultimo è l’ambito al quale presto più attenzione, non posso negare che in particolare stia soffrendo troppo la commercializzazione (che è un termine limitato e non rende al meglio ciò che intendo esprimere) di ogni contenuto visivo sul web. Per fare la svolta occorre dunque rimanere dentro al “mondo dei social” e condizionarlo in maniera originale dall’interno o uscirne e fare riscoprire all’umanità che può essere social in altri modi? {sto generalizzando, ma non raccontiamoci balle: chi più chi meno, nessuno è davvero in grado di non essere social al 100%}
Non parlo banalmente del vedersi e socializzare direttamente, certo, intendo dire anche quello, ma di nuovi mezzi che potremmo inventare, o, forse ancora meglio, reinventare quelli “antichi” o obsoleti, tipo la radio. E non intendo con questo dire che che bisognerebbe affiancare questi vecchi mezzi ai social, altrimenti si torna al punto di partenza e diviene un circolo vizioso; come ciò che faccio io producendo Instagram Stories mentre preparo la pasta fatta in casa con la nonna.
Insomma, ho voglia di futuro e non ho le basi nemmeno per immaginarlo, sono relativamente ignorante, TROPPO per ciò che spero di fare, infatti non so come e presumo peraltro di non essere in grado di costruirlo efficacemente.
Concludo riflettendo su un’ultimo fondamentale punto che enfatizza all’ennesima potenza ogni mio disagio o timore, ma anche ogni mia aspettativa: qui sul pianeta Terra siamo sui sette e qualcosa miliardi e abbiamo i nostri bei problemi. Colui che ama l’umanità e la fa progredire è quello che ne rivoluziona la società, si impegna per sanarne i conflitti ed aumentarne il suo benessere complessivo
o
quello che si rende conto che siamo un puntino, nulla, nessuno in un universo forse infinito e, se finito, di proporzioni relative approssimabili all’indefinibile, innumerabile, inconcepibile vastità e che è assurdo poter rimanere qui a risolverci le nostre beghe ignorando le meraviglie di lassù?
Ho capito, non c’entra un cavolo. Siamo tanti e pochissimi, siamo ovunque e da nessuna parte, siamo decisi e persi, ma SIAMO.
Io non sono se noi non siamo.
Io sono quando noi siamo.
Ho sbagliato sparando tutte queste cavolate finora. Non so cosa voglio, ma, forse, fra tutti, prima o poi, sapremo cosa vorremo.
Ora scendo dal bus e vediamo se Würzburg vale ste migliaia di ore di viaggio porca puzzola.
Commenti