Tommi Space

Domodossola

Ciò che di più bello c’è a Torino, il quattordici gennaio duemilaventi come un giorno qualunque di gennaio come un giorno qualunque di inverno, sono i rami intirizziti stropicciati rinsecchiti che per tutto corso Racconigi si ramificano nel cielo piatto, come neri capillari che lo alimentano del grigiore di cui sembra non riuscire a liberarsi mai.

E io, scrutando questo groviglio di contrasti, privo di colore se non al tramonto, continuando ad alzare lo sguardo, ancora a disagio per l’idea di non avere un orizzonte, incapace di vedere oltre palazzi angolosi e seri che gridano la loro monotonia nel vano tentativo di poter competere con la bidimensionalità del cielo, ecco, io rimango estasiato.

Estasiato ed estenuato, estasiato ed estenuato dalla banale novità in cui io e altri squinternati sventurati ci siamo catapultati più per l’inerzia del “così funziona di solito” che per autentica volontà.

Cosa c’è di nuovo in una città? Quale particolare fragranza di smog, quale sfumatura della scala dei grigi che la compongono, quale tram sferragliante trasforma questa nuova quotidianità universitaria in un’avventura?

La libertà di vivere da soli, fare la spesa e cucinare per smascherare definitivamente la goffaggine più disastrosa in cucina, sfrecciare in bicicletta davanti al semaforo arancione (o giallo dipende dalle correnti di pensiero o dall’istruttore di scuola guida) assaporando con un sorriso il clacson della macchina appena superata, uscire alle 7 e tornare alle 23, continuare incessantemente a pensare a quell’integrale, forse conveniva risolverlo prima per parti e sostituire l’incognita solo dopo, non perdonarsi di non esserci arrivati prima, aprire il portone e farsi pungere dal freddo aggressivo che senza pietà si rifugia negli angoli più tiepidi e delicati del corpo, la consegna dei pacchi di Amazon in mezza giornata,


è estenuantemente estasiante.


Non c’è serenità, per noi qui intrappolati dalla sessione e dai sensi di colpa che con sé porta, a braccetto con il desiderio di poter tornare indietro nel tempo per fare tutto meglio -o non farlo proprio-, se non quella della vita.

Ma non vita nel senso vita bella vita spensierata vita da innamorati vita da lavoratori vita da filosofi vita da spazzini vita da ricchi vita da geni vita da playboy vita da frati vita da santi vita da delinquenti vita nel senso generale che state pensando.

Vita nel senso stretto, vita nel senso respirare (che poi non respirare forse sarebbe anche meglio), uscire, andare, tornare, dimenticarsi di qualcuno, dimenticarsi di qualcosa, andare a messa, portare a spasso il cane (avercelo), sorridere alla cassiera, prendere una pizza insieme, sperare in un 18, piangere (perché piangere fa bene) e Brunori lo insegna meglio di chiunque altro), fare la doccia per più di dieci minuti, pranzare alle 11:30, cenare alle 22, prendere decisioni decisamente poco sagge, disubbidire ma ascoltare, bruciare la frittata (a fare questo riesce solo la mia amica Fra, va menzionato però, in caso in giro ci sia qualche altro poveraccio come lei), amare il proprio pigiama tanto da volerlo sposare, offrire il caffè al tipo gentile in aula studio.

Che poi di vite posso dirne quante voglio ma nessuno capirà mai la vita che sto pensando (pensare non è transitivo uff lo so però Brunori, sempre lui, la vita la pensa, non pensa alla vita, quindi oh, io sono della corrente Brunoriana) e starà pensando quella tutta sua, con le sue cose che dovrebbero andare meglio, quelle fortunate si spera tante, quelle improvvise, quelle pesanti, quelle indimenticabili, quelle fondamentali, quelle di cui sarebbe meglio liberarsi presto.

Noi ora adesso non è che ci possiamo fare molto insomma, possiamo solo fare così. Di cose tipo l’Iran ce ne accorgiamo una o due settimane dopo, di quello che sta dicendo Salvini in piazza a Domodossola (ma perché è proprio bello Domodossola porca paletta. Ma è una parola favolosa accidenti. Do mo dosss sola. Dalle elementari adoro questa parola e ancora non l’ho usata sul blog mannaggia. Sono incredulo. Ecco, ora ce l’ho infilata ma non so se Salvini è veramente stato lì, era per dire una piazza qualunque), di come sta funzionando il mondo e di tutte queste cose non ci accorgiamo.

Noi, che alcuni sono ingegneri e dovrebbero capire il mondo ed essere i primi a spingerlo avanti nel senso più letterale un domani, noi non ci stiamo capendo un belin. Eppure siamo come dei treni, a cui non interessa se la ferrovia fra 100 200 5000 metri venti kilometri finisce, che vanno a fuoco (non che bruciano: “a fuego”, “a tuono”, “a tavoletta”, perché scrivere velocissimo è troppo poco adatto alla mia discontinua e pressoché completamente scorretta scrittura) tanto di rotaie ci sono solo quelle e molte alternative non si vedono.

E come treni, come SQUALI non ci fermiamo, mai, solo per fare la spesa.

alberi capillari in Corso Racconigi a Torino
capillari (anche se in un momento di rari luce e colore)

Alcune note

Chiedo perdono se non so più usare le virgole ma quelle che mancano se le è mangiate Dino Buzzati.

E poi.

Chiedo scusa anche queste parentesi. Siccome purtroppo mi sto sforzando di limitarle e limitarne la lunghezza (per quanto possa non sembrare così) ma voi ve le dovete (no, sia mai, POTETE, dovete solo in caso chiediate un’esperienza di lettura completa e intensa) sorbire tutte. Perciò ho pensato di proporvi alcuni metodi per non perdervi, che sono quelli che utilizzo io ma magari lo conoscete già.

Allora, o leggete prima solo tutte le parentesi e poi leggete tutto il resto saltandole (ammesso che vi ricordiate il contenuto) oppure semplicemente di frase in frase le omettete e poi le leggete dopo. Io, logicamente, devo proprio metterle a metà e interrompere e troncare tutto, altrimenti si capirebbe ancora meno di così.

Mi dispiace essermi dilungato così tanto ho disinstallato instagram e twitter e al massimo ogni tanto butto un occhio su Reddit ma questo è un po’ l’unico sfogo che posso avere.

Già che ho tirato in mezzo Brunori, ricordo che le canzoni da ascoltare leggendo qui, o meglio, le canzoni della mia vita, sono sempre in questa playlist.

E, come sempre, ai due tre centomila uno nessuno arrivati fino qui, un grande abbraccio vi voglio bene anche se forse non vi conosco. A presto (ma speriamo di no, direte voi). E avete anche ragione.

🔎